domenica 2 marzo 2014

Gita domenicale: il Monastero di Kaisariani!

Oggi c'era bel tempo, e siamo andati a fare una piccola gita quasi fuori porta, al Monastero di Kaisariani. 

Il refettorio visto dalle celle superiori


Si tratta di un bellissimo complesso risalente all'XI sec. sulle pendici del Monte Imetto. Ha una chiesa  a croce greca, una cappelletta dedicata a Sant'Antonio, le (minuscole) celle dei monaci, i bagni e il refettorio, tutto perfettamente conservato e visitabile. Da notare che per "bagni" intendo "terme": a poca distanza c'è infatti la sorgente termale di Kalopoula e i monaci la conoscevano bene!

La chiesa (porta grande) e la cappella di Sant'Antonio (porta piccola)

Gli affreschi della chiesa: qui il Cristo Pantocrator

I bagni (terme) del monastero, usati anche come frantoio

La natura è rigogliosa e felice: cipressi che sembrano pennelli per dipingere il cielo, arbusti sempreverdi, enormi foglie verdi che manco nella foresta amazzonica e fiori da tutte le parti, margherite, malva, crochi, narcisi (almeno credo). È un'escursione facile, economica - normalmente costa due euro ma la prima domenica del mese è gratis.

I cipressi visti dal sentiero che conduce al monastero

Gli stessi cipressi, ma da un'altra angolazione

Il complesso archeologico del Monastero comprende anche i resti del primo centro cristiano, sulla collina del Cimitero dei Padri o Frangomonastirio. Qui si trovano le rovine di una chiesa bizantina del X sec. (ci sono tre pareti e il tetto e manca la parete della porta) e una chiesetta chiusa dedicata a San Marco. La cosa spettacolare è la vista: si vede buona parte di Atene fino al Pireo, e l'Acropoli piccola piccola...

Rovine della chiesa bizantina. A sinistra, un tizio che fa sollevamento pietre.

Carta orografica del monte Imetto. Chiara, no?
Non so se si vede il panorama...

Da casa nostra si va in fretta: prendi la strada che porta all'aeroporto poi, invece di entrare in tangenziale, continui diritto verso il Monte Imetto. Se lo fai in motorino, come abbiamo fatto noi, non solo non ci arrivi in fretta, ma addirittura rischi di non arrivarci mai. Il poveretto non riesce proprio a gestire le salite con due persone, comincia a buttare un fumo bianco che fa pena e arranca con sforzo, mentre la velocità si avvicina allo zero. Quando pure le lucertole ti superano, è ora di posteggiare e andare a piedi.

Notare la direzione nella quale stiamo andando... ehm.

Domani è Katharí Deftera, e i greci faranno volare gli aquiloni. Ma c'è qualcuno che si sta già portando avanti...

Per far volare un aquilone c'è bisogno di un padre (che tenga il filo),
di una madre (che tenga l'aquilone) e di un figlio (che faccia da scusa).

Buon Katharí Deftera a tutti e venite in Grecia: è il paradiso!!!

giovedì 9 gennaio 2014

Gabbia di matti

Sarà che cinque, sei, sette anni di crisi farebbero andar fuori di melone chiunque, sarà che la presidenza della Commissione europea da' alla testa, sarà che oggi, come ieri, come domani il tempo è splendido e tutto 'sto sole non può fare bene, mi sono resa conto che sono circondata da persone quantomeno singolari. Oddio, il sospetto l'avevo sempre avuto, però adesso, dopo un anno e mezzo di vita ateniese, è arrivata la conferma chiara come più chiara non si può: i greci sono fuori.

Tanto per cominciare, vivo in un condominio di pazzi. Cominciamo dal piano terreno. La più sana è Demetra, l'amministratrice, che parla con gli animali. Beh, nemmeno Susana è tanto male, ma la vedo soltanto quando esce di corsa per andare al lavoro e mi grida un "Faccio tardi". In greco, ovviamente. 

Al primo piano vive un arrapato con predilezione per fidanzate che gridano: a settembre avevo degli amici ospiti e non riuscivano a credere che quelle grida aberranti fossero sinonimo di un coito. Faceva ancora molto caldo, e le finestre erano tutte spalancate, così le urla (fino a tre-quattro volte al giorno e un paio di notte, sembrava un romanzo di García Márquez) rimbalzavano contro l'edificio dirimpetto e ci giungevano belle amplificate. Demetra dice che la libido greca non conosce crisi. Poi c'è Lia, una ragazza pallida che lavora come traduttrice a cottimo per una televisione locale (ma quale?) e la sua dirimpettaia, altissima e perennemente vestita di nero, come il suo status di redattrice moda implica. 

Sopra di loro vivono due cugine, una delle quali si sta preparando per Saranno Famosi edizione ellenica: ciò implica che sta sempre cantando o ballando. In alternativa suona il piano. Canta quando torna a casa la notte, tipo alle undici e mezza-dodici, così, per scaldarsi l'ugola. Sembra una via di mezzo tra Celine Dion e una vittima di Jack lo Squartatore. Dopo un paio d'ore di canto inizia a ballare il tip-tap, ma questo non lo sento perché mi sono già addormentata. Lia, invece, ci diventa scema con la vicina a furia di tip tap. Di fianco a loro è venuto ad abitare un ragazzo che sembra un cherubino: è educato e ascolta jazz, ma ha un difetto: gli fa schifo il mio motorino e la sua sella sbregata. Una mattina esco come il vento, in ritardo e con mille cose da fare e me lo incontro tutto elegante, cappottino e riccioli tono su tono. Mi ha detto, prima in greco e poi in inglese, che io non avevo capito un tubo, che con venti euro posso rifoderarla e circolare in modo degno. Ovviamente non l'ho fatto, e il mio motorino fa più schifo di prima, tutto pieno di peli di gatto randagio, ma sostengo che sia una specie di antifurto naturale: se fosse stato "degno" me l'avrebbero già rubato e invece è ancora lì, in mezzo alla strada. 

Mi sono scordata dello scantinato, perché lì vive Pavlos, l'altro amministratore di condominio, che è rosso di capelli e fabbrica gioielli. 

E poi ci siamo noi: il russo e la "ma davvero sei italiana?". Una bella gabbia di matti, non credete?

Questa splendida foto è di Daniel Mordzinski.

sabato 2 novembre 2013

Impressioni da Tel Aviv

Mercato delle Pulci di Carmel - Tel Aviv


Tel Aviv, vista dal basso, sembra il Vedado. Vista dall’alto sembra Miami. Vista da destra sembra il paradiso, da sinistra l’inferno. E da dentro, da dentro non assomiglia a nessun’altra città al mondo. Case bianche e squadrate, Bauhaus le chiamano, a me sembrano casette della lego. Case bianche, squadrate e che avrebbero bisogno di una risistemata. Palme e piante rampicanti di specie ignota divorano lo spazio tra un edificio e l’altro, le foglie si accumulano sui marciapiedi, la vegetazione copre i condizionatori, le persiane penzoloni, le bandiere stracciate alle ringhiere, i sofà posteggiati sui balconi. I boulevards hanno due corsie: una per i pedoni e l’altra per le bici. Inevitabilmente, gli uni invadono lo spazio delle altre, e i ciclisti passano la giornata pedalando e suonando il campanello, suonando il campanello e pedalando, ma non fanno molto per scansare l’ostacolo, come se non avessero ben appreso l’uso del manubrio. Gli Israeliani amano suonare il campanello, o il clacson, se sono in macchina. Il fervore e la frequenza con la quale lo fanno fa pensare che siano un popolo molto cosciente dei propri diritti: questa strada è mia, lasciami passare, sembrano dirti. Ti ho detto di lasciarmi passare. Beeep!

Altra impressione delle prime 24 ore nella terra promessa è che gli Israeliani siano gente molto pratica, che non perde tempo in sciocchezze, quindi vive in modo spartano, sportivo e sano. Ogni mattina c’è traffico sul lungomare di lunghe assi di legno polido dalla salsedine: centinaia di persone corrono, a piedi o in bicicletta, lungo i sei chilometri che separano l’antica città di Giaffa dalla moderna Tel Aviv. I podisti sfoggiano scarpe all’ultimo modello, tutine aderenti e iPhone legato al braccio, gli auricolari a ondeggiare al vento. I ciclisti possono pedalare con i piedi o con le mani, con speciali biciclette da utilizzare sdraiati. Hanno caschi, occhiali da sole sagomati a specchio, abbronzatura da fine estate, e si dirigono tutti ai bar intorno al mercato del molo: succhi di frutta freschi, thé e caffé accompagnati da pani dolci e salati, tortine e pasticcini. Discutono animosamente in una lingua roca, intervallata da aspirazioni e cupe schiarite di gola e dove le vocali la fanno ancora da padrone sulle sorde e sulle sonore: Shalom (Ciao, Buongiorno, Arrivederci), Shabbath Shalom (Buon fine settimana),Todá (Grazie), Todá Rabá (Grazie a te), Sababa (Figo!).

Mi piace la gente, c’è tutto il mondo qui: il recepcionista dell’albergo si chiama Barack e sembra arabo, anche il ragazzo della trattoria di cibi pronti sembra arabo, ma poi risulta che è argentino, che sia chiama Daniel ma che tutti qui lo chiamano Alejandro. Invece Yoval ha i capelli rossicci e la pelle chiara, vende gioielli artigianali all’angolo tra la Dizengoff e la Rotschild ed è nato e cresciuto a Tel Aviv. Soleil, oltre che bella e formosa, è israeliana anche se ha un nome francese ed Elazar, ebreo americano, ha vissuto a New York, ha insegnato a Catania, ha pubblicato 25 libri di poesia e ora vende macchine fotografiche d’occasione al mercato delle pulci di Dizengoff Kikar (piazza). Sarà un’impressione, ma qui ti sembra di stare a casa, che ti conoscano da sempre, e che tu gli piaccia. La gente si guarda ancora negli occhi quando si incrocia per la strada, correndo sul lungomare o sulla spiaggia, in passeggiata. Donne con uomini, uomini con uomini, donne con donne, tutti incrociano gli sguardi come lanciassero dardi e gli unici ai quali non gliene frega nulla sono i bambini, i gatti e, apparentemente, gli ebrei ortodossi, che ti guardano soltanto quando vogliono venderti articoli religiosi, sennò filano via diritti come i fusi, lo sguardo a terra e la mente altrove. 

La gente ama parlare e approfitta ogni occasione per farlo: al mercato, davanti alla bancarella dell’antiquario, o uscendo da un bar, al supermercato o sulla piazza principale, mentre stai scattando le foto, si ferma sempre qualcuno e ti rivolge qualche parola in ebreo, poi in inglese e via di seguito fino a che non trova la tua lingua, che di sicuro conosce almeno un po’. Adorano sapere da dove vieni, che cosa ci fai a Tel Aviv, per quali imperscrutabili vie sei giunto fino a loro e se ti piace Israele: e come può non piacerti, visto che qui non c’è nessun problema? Poi ti danno indicazioni contraddittorie per andare a Gerusalemme, ti aiutano, carta geografica alla mano, a schivare i territori occupati per andare sul Mar Morto, e ti suggeriscono di evitare di muoverti il venerdì, no il sabato, vabbé, meglio muoversi direttamente di domenica. 

Al tramonto del venerdì inizia lo Shabbath, festa religiosa ebraica, durante la quale chiudono i negozi, si fermano i mezzi pubblici e la vita in città si fa silenziosa e tranquilla. Non sembra la stessa Tel Aviv di ieri, quella che oggi ti si presenta davanti agli occhi: rilassata, svuotata dal traffico e calma, è il territorio delle famiglie che passeggiano con i loro cani, dei turisti che sperimentano le biciclette in affitto e degli anziani che passano il giorno sulle panchine, come da qualsiasi altra parte del mondo. Anche qui, come a Belgrado, come ad Atene, nei parchi i tavolini hanno disegnate le scacchiere, e i giocatori si dfispongono ad iniziare una sfida lenta e rilassata, con il caffé del baretto alternativo e il timer. Anche qui si spingono carrozzine, ma di tessuto tecnico, e i tricicli hanno il cellulare incorporato. Mamma e papà vanno in scarpe da tennis tutto il giorno e sono giovani, belli e moderni. L’esercito, obbligatorio durante tre anni per i ragazzi e due anni per le ragazze, forma gli spiriti e i corpi, e si rispecchia nell’attitudine disciplinata del popolo israeliano, salutista, sportivo e costantemente pronto alla guerra. Inevitabile il paragone con Cuba, militarizzata, salutista a suo modo e a suo modo disciplinata: squadrato, spettinato ed esuberante, shabby senza essere mai stato chic e autosufficiente in quanto alla tristezza, il Mediterraneo orientale ha molto a che vedere con La Habana. Sono città fatte di spuma di mare, che tenta invano di abbracciare la terra, che lascia sui muri graffiti a forma di sirena. 


Il traffico, il vociare della gente e i clacson annunciano la fine dello Shabbath. Aprono i negozi, la gente si riversa nelle arterie illuminate e persino gli aerei riprendono a volare. I ristoranti, i bar, i chiringuitos sollevano le saracinesche e si popolano di gente. È di nuovo rumore, ed è l’inizio di un’altra settimana a Tel Aviv. Shalom!

sabato 15 giugno 2013

L'ultimo concerto della ERT




Dear colleagues, fellow artists, musicians and managerial staff of State Radio Television Broadcasters worldwide,
This is a communication letter from all 3 Music Ensembles of the Greek Radio Television (ERT), which as you already know is now SHUT DOWN after a government decree. As of Tuesday the 11th of June 2013 the “National Symphony Orchestra” (est. 1938), the “Contemporary Music Orchestra” (est. 1954) and the Choir (est. 1977) of ERT have ceased their activities.The new institution that is proposed at the moment from the government there is no room for music whatsoever. Our very existence is at stake. We are asking for help and solidarity in any possible way. It is of the outmost importance to make them understand why a Public Television should include Music Ensembles. We would mostly appreciate a written formal statement of support (in both email and normal post if possible) addressed to the Greek government (Prime Minister’s Office, Ministry of Finance and Ministry of Culture, Ministry of State, GENERAL SECRETARIAT OF INFORMATION ANDCOMMUNICATION) and to your own respective governments as means of applying pressure for the existence and functioning of the Music Ensembles and ERT in general. A European country’s decision to shut down its national Broadcaster constitutes a major strike against democracy and culture that concerns all of us.
Music Ensembles of European Radio Television traditionally are pillars of civilization.
The unhindered artistic creation and freedom ofexpression is an essential part of the human existence.
The Musicians, Choristers and Managerial Staff of the Music Ensembles of ERT
PS. The importance of the situation demands your immediate response
Please communicate every action to the email of the Artistic Director of the Music Ensembles of ERT .
Mr. Markos Moissidis
markosmoissidis@yahoo.gr
Addresses needed
Minister Of State
Dimitrios Stamatis
Lawyer
Post. Address:
Maximos Mansion
19, Herodou Attikou str.
106 74 Athens, Greece
Telephone: (+30) 210 33 85 488
Fax: (+30) 210 33 85 274
e-mail: gramypep.gr
Ministry of culture and tourism
Minister: Mr. Kostas Tzavaras
Address: Mpoumpoulinas 20-22, 106 82 Athens
tel: +30 2131322100
fax: +30 210 8201138
Email: grplk@culture.gr
URL: www.yppo.gr
Ministry of Finance
Minister: Mr Stournaras Ioannis
Κ. Serbias 10,
105 62 Athens
tel: 210 337 5000

giovedì 13 giugno 2013

Un giorno alla ERT.

Martedì 11 giugno, poco prima della mezzanotte, il Governo greco ha annunciato, con un decreto legge, che chiudeva la Radio e la Televisione pubblica. Punto.

Alle 12 precise, lo schermo della tv è diventato nero: il primo canale, il secondo canale, il terzo, quello culturale, e Kosmos, la radio che ascoltavo per rilassarmi, tutto sparito, non esiste più niente. 

Lo schermo delle tre reti pubbliche da martedì notte.

Mercoledì 12, gli impiegati della ERT si sono barricati nella sede dell'azienda e non sono più usciti. I mezzi di comunicazione sono entrati in sciopero 24 ore. La sera è venuta giù un'acqua del demonio. Si prepara lo sciopero generale.

Giovedì 13, ieri, Marta, un'amica spagnola, mi chiama e mi dice che ha un contatto per entrare alla ERT. Me la sento di andare? Me la sento.

Appuntamento all'una in Syntagma con Toña, un'amica greca. Non so perché, ma qui finisce sempre che ci troviamo una spagnola, una greca e un'italiana in puro stile PIGS. La situazione è tranquilla, la metro funziona: andiamo.

Nove fermate in direzione nord-est e siamo ad Agía Paraskeví. Uscendo, la sensazione è che tutti quanti si siano riversati per le strade, una parte va nella direzione verso la quale ci stiamo muovendo noi, un'altra va verso la metro per andare in centro. Molta gente. Bandiere. Sit in. Proteste. Cartelloni. Non una manifestazione ordinata, ma tutti i greci per strada.

Viale Mesogeion (Mediterraneo) all'una e mezza circa. La manifestazione, di ritorno dalla sede della ERT,
 si muove verso la metropolitana in direzione Syntagma.

La gente aumenta di numero a mano a mano che ci avviciniamo alla ERT. L'ingresso si fa difficile perché sono tutti lì asserragliati. I cancelli verdi sono spalancati, gli altoparlanti emettono a ciclo continuo le notizie, gli speciali, persino lo sport. Lá dentro nulla si è fermato, tutti continuano a lavorare.


La sede della ERT occupata e la protesta.

Con un poco di sforzo oltrepassiamo i cancelli ed entriamo nel giardino. In giro telecamere, furgoni attrezzati per la diretta, giornalisti di tutto il mondo che intervistano e rilasciano interviste. La situazione è meta-televisiva: la tv riprende se stessa, la notizia diventa notizia. 

Equipe televisive riprendono la televisione.

Famiglie intere in piedi o seduti sulle aiuole, con un caffè frappé in mano e l'aria preoccupata ma niente affatto spaventata, piuttosto in attesa. C'è persino un prete, che è qui perché un suo parente è uno dei quasi tremila impiegati lasciati a piedi dall'oggi al domani.

Padre Costantinos (che non rilascia interviste).

Facendoci largo tra la folla, ci avviciniamo all'ingresso. È un edificio alto, in cemento, con moltissime finestre tutte aperte, con striscioni e giornalisti da tutte le parti e molta, molta gente. Quasi non si riesce a parlare dal rumore degli altoparlanti.

La ERT.

Entriamo, oltrepassando la barriera umana creata dai giornalisti, perché il contatto di Marta (un anarchico greco di quasi due metri) ci aspetta all'ingresso e ci indica con il dito: tu, tu e tu, dentro.

"La rivoluzione non verrà trasmessa per televisione".


L'ingresso è pieno di gente. Davanti alla parete formata da foto delle stelle della radio greca si prepara la resistenza.

Preparando le bandiere.

Saliamo al primo piano: quello della musica. Il corridoio è ricoperto dalle foto dei grandi compositori e dalle gigantografie di pentagrammi dappertutto, persino nelle toilettes. 

Sic!

L'Orchestra e il Coro della RadioTV non esistono più, e sono saltati tutti i concerti previsti, tra i quali il Requiem di Verdi per il quale avevo già due biglietti. Mi sono lamentata qui http://atenasdigital.com/2013/06/13/requiem-por-la-musica/.

Parlo con il direttore, il Maestro Markos Moissidis, il quale è allibito: a che altra entità pubblica toccherà dopo di loro? E perché il mondo culturale europeo non li appoggia? Gli dico che scriverò alla Scala: vediamo se mi considerano.

Il direttore dell'Orchestra della ERT guarda dalla finestra del suo ufficio i manifestanti.

Secondo piano: radio. Una giornalista ci racconta che non mollano anche perché, per loro, è normale passare giornate intere chiusi lì dentro a dare notizie: l'hanno fatto con l'Afghanistan, con gli USA, con il mondo intero. Solo che ora la notizia sono loro stessi.

ON AIR

Nello studio di registrazione "E" si riuniscono i giornalisti di tutti i mezzi di comunicazione. Preceduti da un emotivo discorso del Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Franco Siddi, prontamente venuto ad appoggiare i colleghi, votano se continuare lo sciopero e l'occupazione o no. La votazione si fa per alzata di mano, da dietro i leggii della sala della musica. Democrazia diretta Very Greek Style :)

Rappresentanza dei giornalisti dei mass media di tutta Grecia.

Al terzo piano ci sono gli studi televisivi. Facciamo amicizia con i cameraman che ci fanno entrare nello studio del TG. Le giornaliste, che fino a ieri vedevamo alla tele, oggi emettono in streaming. Però continuano a lavorare.

Negli studi del TG.

Alle cinque, dopo le prove di un concerto previsto per oggi con cantanti e musicisti uniti per appoggiare i colleghi, si registra un brano di Tchaikovski: i ragazzi che questa mattina organizzavano la diffusione in rete delle notizie ora abbracciano i loro strumenti. Dallo studio di registrazione aspettiamo che la musica inizi, e ce ne andiamo senza disturbare.

Eisikía: silenzio!

Emergiamo da questa giornata in ERT distrutte ed emozionate. Non abbiamo quasi mangiato né bevuto nulla, siamo state catapultate dagli eventi, abbiamo rincorso le persone e tentato di afferrare ciò che sta succedendo. Perché, invece di mandare a casa gli alti dirigenti collocati dai partiti che guadagnavano cifre da capogiro senza andare a lavorare si preferisce far perdere il lavoro, dall'oggi al domani, a migliaia di persone che vivono con uno stipendio che va dai 900 ai 1400 euro al mese, con laurea, esperienza e concorso pubblico approvato? 

Inconcepibile, no? Certe cose, è vero, non si possono proprio capire. Però sentire sì.

Per tutti gli amici della ERT: EFXARISTÓ KAI KALÍ TIKI!
GRAZIE E BUONA FORTUNA!






domenica 14 aprile 2013

Kathari Deftera

Il lunedì antecedente le Ceneri, con il quale comincia la Quaresima, i greci amano ritrovarsi e, indovinate un po', mangiare, possibilmente all'aria aperta. Ma non solo: adorano far volare gli aquiloni. E, dal momento che c'è sempre molto vento, gli aquiloni volano che è un piacere, ma quasi mai i poveretti riescono a concedersi un pic-nic decente perché fa brutto. Comunque, questo è un mini reportage dell'esperienza volatoria.

Tipico aquilone greco e pilotesse.

Tecniche familiari iper collaudate.
Tentativo di riparazione del mio aereo.
Volo artistico in artistica foto.
Atterraggio di fortuna.
L'equipe di riscatto: Lola!










A l'amour comme à la guerre

Sono rimasta un po' indietro coi post, ma ora vedrò di recuperare il ritmo.

Cominciamo con questo viaggetto molto carino di più di un mese fa. Un sabato mattina, davanti all'ennesimo aperitivo, ci scrolliamo di dosso l'inverno e decidiamo, con alcuni amici, di fare un viaggio verso nord. La meta è la città di Chalkida, capoluogo dell'isola-regione di Evia. Può darsi che il nome oggi dica poco, ma in Italia si conosceva come Calcide ed Eubea: la prima fu la città nella quale morì Aristotele, e la seconda, precisamente ad Avlida (Aulide), ospita il porto dal quale partirono le navi per la guerra di Troia, dopo che Agamennone (non) condusse a termine il sacrificio di sua figlia Ifigenia. A dire il vero, nel tardo Medio Evo, questa zona era occupata dai Veneziani, e la città e l'isola intera avevano un nome italiano: Negroponte. Oggi questo nome si conserva ancora nelle stampe antiche degli storiografi, e nel ponte di colore nero che ogni notte, a mezzanotte, si solleva per lasciare passare le navi che transitano nel golfo dell'Eubea.

Atene-Chalkida: 78 km.

Il paesaggio è verde, l'inverno è stato ricco di pioggia e i monti e i campi sono lussureggianti, ma la primavera sembra ancora lontana. Comunque io sono dietro in macchina, e quindi dormicchio.

Quando arriviamo ci buttiamo a dormire (ancora) una siesta dettata più dalla necessaria preparazione alla serata che dalla stanchezza del viaggio. La sorpresa è, al risveglio, ritrovarci con la città illuminata...

La città di Chalkida si specchia nel Golfo di Eubea.

Ma la mattina seguente il paesaggio è ancora più bello. Sotto di noi si apre il lungomare, con una spettacolare rotonda e tutti i bar e i locali notturni e diurni che si possano immaginare. Si può vedere che la città si sviluppa su due lati: da una parte - quella nella quale ci troviamo noi - è ancora Grecia centrale, dall'altra è già isola di Eubea.

La vista dal 5 piano dell'hotel Paliria.

Visitiamo il Forte di Karababa, costruito nel 1684 dai Turchi per difendersi dai Veneziani, stranamente in stile veneziano e da un architetto con nome veneto, Beneto Girolimo Galoppo. Qui decido di fare onore al mio quarto di sangue veneto e scalare le mura del castello per dimostrare che non è così poi inespugnabile: antenati vendicati!

Difendendo l'onore della Serenissima.
Il paesaggio da lassù è molto bello: si vede il golfo dell'Eubea, sulla sinistra la città di Chalkida e sullo sfondo il nuovo ponte moderno stile Golden Gate. O, se me lo permettete, stile Puente de Rande a Vigo in piccolino. 


Chalkida e golfo di Eubea + ponte
Vigo e Ría + ponte di Rande











Il viaggio di ritorno verso Atene è allietato da una pausa pranzo sul lungomare, dove ci mangiamo l'impossibile. 

Il molo e il menù.
E qui, mentre il sole primaverile già dimostra la sua potenza bruciacchiandoci il naso, pigramente vediamo le navi partire, come partirono già più di 3000 anni fa per andare a una guerra, per conquistare una città, per scrivere la storia e perché la storia si facesse poema.